Nell’era della globalizzazione e dello sviluppo a livello mondiale di importanti sinergie che hanno fatto sì che l’economia internazionale e le economie nazionali tendono a integrarsi sempre più, arrivando alla creazione di un mercato unico mondiale, fenomeno rilevante è quello della mobilità lavorativa. Dato che sempre più lavoratori si trovano ad effettuare periodi più o meno lunghi di lavoro all’estero diviene importante analizzare i risvolti sia fiscali, che previdenziali, che lo svolgimento di tali attività fuori confine comportano.
Concetto di residenza e Convenzioni bilaterali
Principio fondamentale, per definire il luogo in cui deve avvenire la tassazione, è quello della territorialità secondo cui la legge deve applicarsi nel luogo ove avviene la prestazione lavorativa, indipendentemente dalla provenienza del lavoratore.
E’ necessario, quindi, in primo luogo definire se il contribuente abbia in Italia la residenza o sia stata trasferita nel Paese estero. Vige infatti nel Nostro paese il c.d World Wide Taxation Principle sancito dall’art. 3, comma 1, del TUIR secondo cui “L’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti … e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”. Fondamentale è, dunque, la definizione del concetto di residenza fiscale. Il primo requisito è, senz’altro, la cancellazione dall’APR (Anagrafe Popolazione Residente) e la contestuale iscrizione all’AIRE (Anagrafica Italiani Residenti all’Estero) per un periodo superiore ai 183 giorni in un anno solare; il secondo, ben più difficile da dimostrare è lo spostamento del centro degli affari economici e affettivi in altro paese.
Una volta stabilito se il contribuente sia o meno fiscalmente residente in Italia è necessario verificare la presenza di Convenzione contro le Doppie imposizioni tra l’Italia e il paese in cui si sta prestando l’attività lavorativa. Tali convenzioni, infatti, rappresentano un accordo tra due stati per regolamentare, sulla base del principio di reciprocità, la sovranità tributaria di ciascuno al fine di eliminare la doppia imposizione internazionale, talvolta derogando al World Wide Taxation Principle.
Lavoro autonomo
Sui compensi erogati al lavoratore autonomo non residente che presta la sua attività in Italia, anche in forma d’impresa, dovrà essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%. Sono esclusi da tale norma i compensi per lavoro autonomo svolto all’estero e quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
I redditi, invece, che un lavoratore autonomo residente in Italia ritrae dall’esercizio di arti o professioni all’estero sono imponibili in Italia a meno che il lavoratore non abbia, in detto altro stato estero, stabile organizzazione.
Lavoro dipendente
Il lavoratore dipendente residente in Italia che presta la sua attività lavorativa all’estero, salva diversa disciplina dettata dalle Convenzioni con detto altro paese estero, è tassato nel paese di residenza. Il reddito di lavoro dipendente, in via ordinaria, è tassato sul reddito effettivo mentre in via eccezionale, qualora il lavoro venga svolto alle dipendente di un datore di lavoro italiano con sede di lavoro all’estero è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398, si veda in tal senso l’art. 51, comma 8 bis del TUIR.
Agevolazioni per chi rientra
Al fine di incrementare il rientro in Italia di lavoratori esteri l’art. 16 del D. Lgs. 147/2015 prevede alcune agevolazioni fiscali. In particolare i redditi di lavoro dipendente e, dal 2017, anche di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che ivi trasferiscono la residenza concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50%, purché si verifichino determinate condizioni. Ulteriore, e più cospicua agevolazione, è quella prevista dalla legge 78/2010 all’art. 44, nei confronti di ricercatori e docenti rimpatriati dopo aver svolto due anni di docenza o di ricerca all’estero. In tale caso, infatti, il reddito imponibile IRPEF scende al 10% di quello effettivamente percepito (non estendibile agli altri redditi prodotti in Italia o quelli che si continuano a produrre all’estero).